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Siria: un'analisi sui fatti di ieri e di oggi per capire il conflitto

Siria: un'analisi sui fatti di ieri e di oggi per capire il conflitto
Autore: Gabriele Santoro - Redazione Esteri
Data: 10/09/2013

 

Alla fine i rischi di un conflitto di vasta portata, con Usa, Russia e Cina in campo solo per citare le superpotenze, sembrano assottigliarsi. Il tutto se il governo siriano, come pare orientato a fare, accetterà, “ispirato” dall’alleato russo, di mettere sotto il controllo internazionale le armi chimiche che ha a disposizione. Si allontanano quindi gli scenari catastrofisti di una terza guerra mondiale prospettati dai media, pressoché silenti sul tema da due anni e mezzo fino all’attacco del 21 agosto scorso, arrivando all’estremo opposto di un eccesso di informazioni che però poco spiegano su come si sia effettivamente arrivati alla situazione attuale. Un po’ come entrare in un cinema a film già iniziato, se non  si conosce almeno a grandi linee la trama, poco si capisce.

L’atmosfera allarmista che ha contagiato anche i discorsi da bar riportava quasi agli anni della guerra fredda, Usa e Russia – non più Urss, sarebbe paradossale uno scontro ben dopo la caduta del comunismo – sul punto di agire, tra proclami e minacce di ritorsione. Certo non solo loro, il mondo non è più bipolare, con l’ascesa di giganti quali la Cina e la partecipazione di Israele ed Iran sullo sfondo.

Ed è proprio dalla guerra fredda che risale l’influenza sovietica prima, russa ora, sulla Siria. Un privilegio che Putin e il resto dell’esecutivo non vogliono perdere, arrivando a mettersi di traverso all’opzione militare per rovesciare il regime di Assad, accusato di usare armi chimiche sulla popolazione civile, con un bilancio che ad ora supera i centomila morti, oltre trentaseimila fra i civili, e i due milioni di rifugiati.

Una fermezza russa nel sostenere le posizioni del governo siriano che ha rallentato ogni velleità di intervento occidentale: il Regno Unito ha rinunciato dopo il veto parlamentare, gli Usa tentennano e forse solo la Francia li seguirebbe anche senza il benestare degli osservatori delle nazioni unite, a caccia delle prove dell’uso di gas che significherebbero varcare la “linea rossa”, il limite consentito alla repressione garantita dal principio di autodeterminazione dei popoli, andando contro ogni convenzione internazionale.

Insomma, Stati Uniti che non sono così ansiosi di recitare ancora il ruolo di “poliziotto” mondiale, forse per il nuovo corso portato avanti da Obama – chissà cosa sarebbe successo con Bush alla Casa Bianca – forse, malignamente, per l’assenza di interessi particolari in quella parte di Medio Oriente (la vendita di armi paventata da papa Francesco?). Russia che vuole la cosa giusta, la pace, ma per le ragioni sbagliate. O almeno non così nobili.

Legame storico Indipendente dal 1946, la Siria subì un colpo di stato da parte del partito panarabo Ba’th nel 1963, per poi passare già nel 1966 sotto l’influenza sovietica. Nel gioco delle parti della guerra fredda all’Urss serviva un avamposto nel Medio Oriente che contrastasse Israele e l’allora filoamericana Persia. Anche con l’arrivo al potere nel 1970 di Hafiz al-Assad, padre dell’attuale leader Bashar, esponente della minoranza alawita in un paese sunnita, i rapporti continuarono anche se solo per convenienza, dato che Assad padre non vedeva di buon occhio il comunismo locale, ripetutamente represso.

Dopo la caduta del muro di Berlino, nonostante l’aumentare dell’influenza americana sull’area dato il vuoto di potere, la Russia continuò ad essere un importante partner commerciale per la Siria, cui destinava una fornitura di armi, in particolare carri anti-missile. Ma secondo i dati dell’osservatorio svedese indipendente Sipri – Stockholm International Peace Research Institute – il peso del flusso di traffici verso la Siria raggiunge appena il 5% dell’export russo, senza dimenticare un debito ingente di 3,6 miliardi di dollari che difficilmente un paese in guerra e comunque già privo di risorse potrebbe pagare.

Sono più le strategie geopolitiche a far permanere l’interesse verso il paese mediorientale, su tutte la conservazione della base navale di Tartus, unico accesso al Mediterraneo, da sempre pallino delle mire espansionistiche già zariste. Ma c’è anche la paura dell’effetto domino, un cambio al vertice rischierebbe di contagiare i “vicini” del Caucaso e dell’Asia centrale, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di regimi autoritari amici della Russia come Kazakhstan, Uzbekistan, Azerbaijan e Bielorussia. E la stessa Mosca forse non ne sarebbe immune.

Che poi sono anche i motivi addotti dalla Cina contro ogni interferenza, analoghe situazioni potrebbero riproporsi per il Tibet, su cui la Siria ha espresso opinioni in linea con quelle di Pechino. Inutile dire che la penetrazione cinese è arrivata anche nel Vicino Oriente, il volume di affari annuale tra i due paesi è di circa 2 miliardi di dollari – circa la metà rispetto alla Russia – ma la Siria è anche uno snodo commerciale per tutta l’aerea. In più c’è la presenza della China National Petroleum Corporation, in joint venture con la compagnia nazionale siriana. Senza dimenticare che gli afflussi di yuan e rubli hanno consentito di aggirare le sanzioni di embargo imposte dallo scoppio della rivolta, garantendo la sopravvivenza ad Assad (figlio).

Bashar el-Assad che si è ritrovato Presidente della Repubblica contrariamente alla programmazione effettuata da Hafiz che, resa la carica ereditaria, aveva designato successore il primogenito Basil, morto poi in un incidente d’auto nel 1994. Bashar era destinato ad un’altra carriera, studiava oftalmologia a Londra e, pur con scarso interesse per la politica, nel 2000 alla morte del padre si ritrovò capo dell’esecutivo, a nemmeno 35 anni. Inizialmente considerato un riformatore, Assad portò la Siria nell’elenco degli “Stati canaglia” stilato dagli U.S.A. per le violazioni dei diritti umani, l’appoggio al terrorismo anti-israeliano e anti-americano – vedi Hezbollah - e per il sostegno all’Iraq di Saddam Hussein durante l’invasione del 2003.

Ma fino al 2011 Assad riuscì a mantenere discreti rapporti con l’Occidente, specie dopo la caduta delle accuse sulle responsabilità della morte dell’ex premier Libanese Hariri, amico della Francia. Nel 2008 fu ospite di Sarkozy, nel 2009 invitò a cena la coppia Pitt-Jolie, in visita ai campi profughi iracheni, risultò addirittura personaggio dell’anno in un sondaggio di Cnn Arabic. Nel marzo 2010, ad un anno dal conflitto, fu insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dal nostro presidente della Repubblica Napolitano.

Il resto è cronaca recente, Russia, Cina ed Iran ritengono il governo legittimo ancora espressione di buona parte della popolazione, il grosso dei miliziani non sarebbe nemmeno siriani ma provenienti da Cecenia, Turkmenistan – e si ritorna ai rischi di diffusione delle proteste – Afghanistan. Dall’altra parte è ironico vedere gli Stati Uniti virtualmente alleati con cellule di Al Qaeda, infiltrate tra i ribelli. L’unica certezza è la fase di stallo tra parti che non riescono a prevalere. Nebuloso il futuro, con la preoccupazione diffusa, per la presenza di integralisti, che il dopo Assad –forse non così scontato almeno a breve - sia anche peggio. Israele e i paesi arabi sono alla finestra in attesa di sapere con che vicino avranno a che fare.

 




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Data:10/08/2013
Categoria:Politica e Governo
Obbiettivo:50000 firme

 
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